Istruzioni pratiche sulla gestione della riservatezza nel ruolo del mediatore familiare.
Quando si avvia qualsiasi tipo di consulenza, il mediatore familiare ha prima di tutto il compito di chiedere ai propri clienti l’autorizzazione al trattamento dei loro dati personali (email, numero di telefono, indirizzo) e, subito dopo, di informarli della riservatezza delle informazioni condivise durante gli incontri. Tuttavia, alcune eccezioni possono far venir meno il segreto professionale e dare la libertà al mediatore di trasmettere una denuncia all’autorità giudiziaria.
–> Scopri anche come affrontare le crisi di coppia con la mediazione familiare!
Il segreto professionale
In caso di giudizio il mediatore familiare può appellarsi alle disposizioni previste nel codice penale in merito al segreto professionale. Per utilizzare il materiale prodotto durante le consulenze (video, audio, foto… ), invece, deve richiedere il consenso di tutte le parti interessate.
La registrazione di materiale multimediale
Per registrare audio o video durante le consulenze, il mediatore familiare deve preventivamente avvertire le persone interessate ed essere espressamente autorizzato.
Quando deve scattare la denuncia alle autorità
Il vincolo di riservatezza viene meno quando, durante le consulenze, il mediatore familiare è testimone di:
1. confessioni di crimini o di violenze (anche passati);
2. atti di violenza verbali o fisici avvenuti durante la mediazione;
3. minacce che vengono concretizzate dopo la consulenza.
In caso di mediazione attivata dal giudice
Se la mediazione familiare è stata richiesta, consigliata o attivata da un giudice, il mediatore ha il compito di informare gli interessati che l’attività di consulenza è libera e non obbligatoria e che gli accordi raggiunti o ipotizzati insieme non avranno alcuna validità giudiziaria in quanto la loro trascrizione sarà poi rimessa alle parti stesse.