Disabilità e integrazione degli alunni non udenti

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In Italia, soprattutto negli ultimi anni, si è diffusa la conoscenza della lingua dei segni (LIS) per comunicare con i non udenti. Alcune scuole, però, non condividono l’idea di limitare le interazioni dei bambini sordi e sordomuti alle poche persone che conoscono questo particolare linguaggio. Ritengono, invece, che insegnare a riconoscere il linguaggio orale offra maggiori opportunità di integrazione agli alunni non udenti.

Il dibattito coinvolge le associazioni da molto tempo: L’Ente Nazionale Sordi sostiene fermamente l’efficacia del linguaggio LIS, mentre le Famiglie Italiane Associate per la Difesa dei Diritti degli Audiolesi sono esclusivamente a favore della diagnosi precoce, degli impianti cocleari e della protesizzazione digitale per migliorare l’apprendimento del linguaggio orale. Anche Giuseppe Gitti, fondatore del Centro di Rieducazione Ortofonica invita insegnanti, familiari e parenti a educare i bambini a leggere, scrivere e comunicare attraverso la lingua più comune, quindi quella orale.

Qual è insomma il metodo migliore da adottare negli istituti scolastici quando si parla di disabilità e integrazione degli alunni non udenti? È più efficace comunicare con i bambini sordi attraverso il linguaggio LIS o insegnando loro a riconoscere le parole osservando il linguaggio orale?

Bisogna prima di tutto considerare che l’esperienza scolastica di ogni bambino sordo deve garantire l’accesso ai contenuti scolastici, ma anche lo sviluppo delle sue possibilità comunicative e di tutte le sue potenzialità personali. Prima di scegliere il metodo d’insegnamento devono essere valutati alcuni fattori: l’età del bambino, il suo percorso personale, l’età della diagnosi, la possibilità di attenuare il problema attraverso protesi, terapie logopediche e infine le capacità di comunicare del bambino all’inizio del suo percorso di studi.

Solo successivamente è possibile organizzare un programma che comprenda attività di linguaggio orale, scritto, LIS, labiale e manuale (dattilologia). Lo studio equilibrato di tutte queste modalità di comunicazione aiuterà il piccolo ad utilizzare metodi di comunicazione diversi in situazioni altrettanto diverse. Potrà, ad esempio, seguire le discussioni di chi non conosce il linguaggio dei segni e intervenire con l’aiuto di strumenti tecnologici interattivi, oppure comunicare in casa attraverso il linguaggio LIS e usare la dattilologia con gli altri bambini che si divertono a imparare l’alfabeto dei segni. Lavagne, software e mezzi digitali dovrebbero far parte della normale attrezzatura scolastica e, eventualmente, essere utilizzati da educatori specializzati e assistenti alla comunicazione in grado di tradurre il linguaggio del bambino non udente attraverso metodologie adeguate.

L’ideale, in conclusione, sarebbe dare la priorità al “bilinguismo” valutando però di volta in volta le abitudini, le preferenze e le capacità di ogni bambino.

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